Ha lama monofilare, stretta, con punta sbieca e controfilo spesso decorato e più corto del tagliente principale. L'impugnatura, in legno o corno, è generalmente decorata con piume, peli di animale e/o filo colorato.
Il Mandau è una delle armi più romanticizzate del Borneo, seppur per l’uso macabro che ne facevano i cacciatori di teste. In Italia queste armi sono state rese celebri dal romanziere italiano Emilio Salgari (1862-1911) che ne fece l'arma d'elezione, unitamente al kriss, dei pirati di Sandokan.
Il popolo Dayak
I Dayak sono una popolazione dell'Asia insulare stanziata nelle foreste dell'interno dell'isola del Borneo (Indonesia). Sono suddivisi in circa 200 etnie diverse ciascuna con il suo dialetto, costumi e tradizioni. Le tribù principali sono gli Iban (Dayak di mare), i Taman, i Klemantan, i Panan, i Kenyah, i Kenyan e i Murut.
I Dayak sono agricoltori, praticano l'allevamento di maiali e pollame, la caccia e la pesca; per i loro caratteri antropologici e per la cultura sono considerati dei paleoindonesiani. Praticano la lavorazione dei metalli, in particolare del rame, con i quali eseguono pregevoli lavori artigianali. Le loro armi tipiche sono il mandau, la cerbottana e la clava con testa in pietra.
Le abitazioni sono collettive, rettangolari, edificate su piattaforme sopraelevate di canne o di pali. Gli uomini sono organizzati in classi di età, che comportano riti iniziatici cruenti (circoncisione, mutilazioni, ecc.); la famiglia ha struttura patriarcale e viene praticato il matrimonio ambiliano cioè il marito diviene parte del clan della moglie.
In passato animisti e cacciatori di teste, i Dayak sono oggi in gran parte cristiani a causa della massiccia azione dei missionari negli ultimi secoli. Nonostante si dichiarino cristiane, molte tribù credono nella presenza di spiriti benevoli o maligni e conservano ancora tradizioni e cerimonie animiste.
Head-hunting
Un tempo le diverse etnie Dayak combattevano tra loro e tornare al villaggio con una o più teste mozzate garantiva prestigio e ammirazione. La pratica dell’head-hunting non era legata solamente alla guerra: i Dayak credevano, e molti di loro credono tutt’ora, che il cranio sia il contenitore dell’anima e dell’essenza umana. Portare al villaggio nuove teste significava portare dello spirito vitale alle persone e alla terra. Si tagliavano le teste dei nemici prima del raccolto per rendere fertile la terra, oppure prima di un matrimonio per dimostrare il coraggio e valore del futuro marito.
Le uccisioni e decapitazioni erano mostrate attraverso dei tatuaggi, almeno tra gli Iban: un anello nero al pollice significava aver ucciso un capo villaggio, all’indice uno sciamano, al medio un guerriero, all’anulare una donna ed al mignolo un bambino.
Dopo la conversione di massa al cristianesimo (in parte anche all’islam) e l’introduzione di leggi anti headhunting da parte delle potenze coloniali, la pratica sembrava scomparsa ma in occasioni di conflitti e rivolte i Dayak rispolverano le antiche usanze e ricominciano a tagliare teste.
Nel 1940 le teste furono quelle dei giapponesi invasori e le 1960 quelle dei cinesi del Borneo sospettati di sostenere il comunismo in Cina. In entrambi i casi i Dayak furono incoraggiati dalle grandi potenze: dagli Alleati nel 40 e dal governo indonesiano nel 60.
Nel 1998 e nel 2001 furono proprio i Dayak a dare inizio ad un feroce scontro etnico contro i Maduresi, i musulmani emigrati dall’isola di Madura.
Dall’articolo del Corriere della Sera del 10 Giugno 1997:
Migliaia di Dayak in T-shirt ma con il viso dipinto per la battaglia come vogliono le antiche tradizioni, ed istigati dagli sciamani, hanno iniziato ad attaccare i maduresi ed hanno bruciato in modo sistematico le case nella regione a nord di Pontianak. Il giornalista dell’Indipendent scrive che “corpi decapitati di uomini donne ed anche bambini giacciono lungo la strada da Pontianak verso Pahauman con squarci al petto che parlano chiaro: i cuori sono stati strappati dai corpi ancora caldi e mangiati in complessi riti di magia nera.Dall’articolo di Repupplica del 24 Febbraio 2001:
Sul fiume galleggiano centinaia di cadaveri decapitati, le case dei maduresi sono state tutte incendiate, ha detto padre Willbald Pfeufferil, sacerdote cattolico, all’agenzia missionaria Misna. I 700 poliziotti mobilitati dalle autorità non riescono, e forse neanche ci provano, ad arginare le scorribande dei Dayak che continuano ad incendiare, a distruggere e a esibire come trofeo le teste mozzate delle loro vittime.
Probabilmente, se immaginiamo questi eventi ci vengono in mente guerrieri in abiti tribali, con visi rugosi e dipinti, scalzi e urlanti. In parte forse è vero, ma la situazione delle popolazioni tribali è diversa da quelle del nostro immaginario. Pare infatti che gli scontri del 1997 ebbero inizio dopo un accoltellamento di due ragazzi Dayak ad un concerto pop e che nel 2001 la scintilla fu il furto di un motorino. Le cose cambiano, alcune usanze e credente ancestrali rimangono.
Il Mandau
Il mandau è associato alla tradizione dei Dayak di tagliare le teste dei nemici, sebbene esso venga più comunemente usato come machete nella vita di tutti i giorni. Il mandau è largamente diffuso ed usato da molti abitanti di Kalimantan.
Si crede che il mandau abbia poteri sovrannaturali e viene passato come cimelio di famiglia di generazione in generazione. In aggiunta al suo importante ruolo nei rituali tribali, il mandau è anche usato come valuta di scambio o come regalo riccamente simbolico, offerto ad esempio in un matrimonio.
Il mandau in base all’etnia/tribù assume nomi diversi:
- Parang Ihlang per le etnie Bidayuh, Iban e Penan
- Malat per l’etnia Kayan
- Baieng per l’etnia Kenyah
- Bandau per l’etnia Lun Bawang
- Pelepet/Felepet per l’etnia Lundayeh
Il mandau ha una lama a singolo filo di taglio, ma non è piatto in sezione. Piuttosto, è leggermente concavo su un lato e convesso sull’altro per assicurare un taglio efficace. Il taglio è la funzione primaria, di conseguenza l’estremità della lama ha poca importanza e può essere arrotondata o troncata. La lama è fatta in ferro tenero per prevenire rotture, con un sottile strato di ferro più duro applicato sul filo di taglio per avere maggiore capacità di taglio.
Mandau significa "doppio coltello" in quanto spesso è dotato di un piccolo coltello supplementare posto sul retro del fodero e chiamato Langgei Puai (coltello da intaglio).
L’uso del mandau a scopo offensivo necessitava di poter estrarre l’arma velocemente. Per questo motivo il mandau è abbastanza corto, favorendo anche il brandeggio e l’uso come machete per farsi strada avanzando in una foresta densa di vegetazione.
Il mandau è riposto nel fodero con il filo di taglio rivolto verso l’alto e su quel lato c’è una sporgenza del manico che viene a trovarsi vicina alla mano. In tal modo può essere estratto dal fodero rapidamente senza dover capire come è orientato il manico e quindi il filo.
Per quanto concerne la lama, i mandau di tutte le tribù Dayak si conformano più o meno tutti allo stesso modo: una lama più stretta sul lato dell’elsa che gradualmente si allarga andando verso l’estremità. A seconda della tribù vi sono comunque delle differenze nella curvatura della lama.
- Slang: il mandau è quasi dritto.
- Langgi tingeing: il mandau è curvato come una scimitarra.
- Niabor: è il mandau usato dai Dayak del mare, ha una specie di uncino sulla lama posto vicino la base, talvolta descritto come “fiore di pisello”.
- Pakagan: il mandau ha un ulteriore forma diversa ma con piccole differenze non facili da indicare.
- Kayan: il mandau ha ricche decorazioni sulla lama e simboli ed incisioni sul fodero. Vi sono simboli particolari che rappresentano le sanguisughe. Sebbene le sanguisughe siano sprovviste di ossa e appaiano deboli e vulnerabili, esse sono flessibili e si alimentano di sangue, caratteristica di un guerriero. Vi possono essere diversi simboli sul fodero di un mandau, come il mata kalung (occhio della collana), il mubung bilah (tomba degli antichi re), il kalung telu, kalung helat, e kalung aso lejo (la tigre). La decorazione con fori riempiti di ottone è chiamata Lantak Paku. Ciascun gruppo o tribù definisce le tipiche caratteristiche del proprio mandau, con simboli che richiamano le proprie storie e tradizioni culturali.
- Ambang Mandau: Ambang è un termine usato per identificare il mandau la cui lama è costruita in acciaio comune. Spesso è fatto per essere venduto come souvenir.
Chi non ha un occhio allenato o non ha familiarità con il mandau, non sarà in grado di distinguere le differenze tra un classico mandau ed un Ambang a causa dell’aspetto che li rende molto simili. Ad ogni modo i due sono alquanto diversi. Infatti, esaminando in dettaglio, le differenze sono evidenti come le incisioni eseguite sulla lama su cui sono inserite delle parti in oro, argento o rame. Il mandau tradizionale ha una lama flessibile e un bordo di taglio più forte dell’Ambang, poichè si dice sia ottenuto da minerale ferroso estratto montagne rocciose, forgiato da abili fabbri. L’Ambang è invece fatto con acciaio ordinario.
Parang dei Dayak di terra
- Pandat parang, è il Parang da guerra dei Dayak di terra, mai usato per altri scopi. Ha una lama lunga ed angolata e l’elsa ha una guardia a croce.
- Latok parang è usato sia per abbattere rami e legname, attività agricole e per la guerra. E’ caratterizzato da una notevole angolazione ed un angolo ottuso a circa un terzo della sua lunghezza partendo dal manico. Questo parang ha lama a singolo filo di taglio, più pesante e più larga blade verso la punta. Il manico è fatto in legno, è privo di guardia ed è spesso avvolto stretto con rattan (corda di palma) per aumentare l’aderenza alla mano. Il parang Latok è trasportato in un lungo fodero fatto con due parti in legno che alloggiano la lama. In passato, il parang Latok era anche usato per eseguire la condanna capitale ossia la decapitazione di criminali. La decapitazione richiedeva normalmente un singolo colpo. Questo parang è spesso usato a due mani, una che afferra il manico e l’altra che tiene la schiena della lama, per imprimere maggior forza in un colpo verso il basso. Esiste una versione ridotta del parang Latok chiamata Buko, ed un’altra variante chiamata Sadap.
Parang dei Dayak di mare
Questo tipo di parang è portato dai dayak di mare (Iban) ed è diverso dal classico parang Ihlang. Infatti ha una lama curvata ed un uncino (krowit), che è parte della lama, situato vicino al manico. Serve come guardia per le dita. Vi sono quattro varianti di questo parang:
- Niabor parang, con lama curvata e bordo che curva verso il retro e la punta della lama. Giusto sotto il manico, sul bordo della lama, c’è un ampio uncino (krowit) chiamato anche kundieng. La lama non è decorata e può avere una scanalatura mentre il manico ha una lunga protuberanza e non vi sono applicati capelli o ciuffi di pelliccia.
- Langgai Tinggang parang, in cui nome significa "la più lunga penna caudale del bucero." (volatile diffuso nel Borneo), E’ simile al Niabor, ma con il manico simile a quello del parang Ilang. Lungo la lama è praticata una scanalatura che parte dal krowit e va fino alla punta o si ferma poco prima. Il krowit non è così ampio come quello del Naibor e a volte è più lontano dal manico.
- Jimpul parang, simile al Langgai Tinggang, ma il krowit è sviluppato solo sul un lato mentre la punta della lama forma un angolo obliquo.
- Pakayun parang usato dai Murut del Borneo del nord, ha una lama curvata di larghezza costante ed è privo di decorazioni. Il manico il legno termina a forcella e talvolta presenta delle incisioni sulla zona della forcella. A volte è anche montato con una ghiera ed una guardia cilindrica in rame.
Bibliografia:
"A Glossary of the construction, decoration and use of arms and armor" George Cameron Stone
Vari siti Internet: indoneo, viaggiarelibera, old.blades.free.fr/swords/dayak/parang_dayak
Foto dal web