HS Karambit Tarani

22 Luglio 2013 Autore : 

Da tempo immemorabile in ogni parte del mondo le diverse culture hanno sviluppato coltelli e strumenti differenti, ideati e realizzati in base alle loro necessità (pesca, caccia, agricoltura, guerra, ecc.) che, a loro volta, sono strettamente correlate all’area geografica ed al periodo storico di appartenenza.


Il Karambit nasce come coltello utility nell’arcipelago indonesiano, con radici in Malesia e nelle Filippine, ed era, con tutta probabilità, una lama per utilizzo agricolo (presumibilmente per innesti agronomici), alla stregua delle nostre mini-roncole. Ovviamente questo piccolo strumento poteva occasionalmente prestarsi come arma “improvvisata” per la difesa personale contro un avversario disarmato.

Questo coltello, tradizionalmente a lama fissa, oltre ad avere una sua utilità, era intimamente connesso con la cultura e religione locale, che incarnava nel Pamacan, la grande tigre dell’ovest di Java, gli spiriti dei defunti re. È infatti proprio dagli artigli di questo animale che il Karambit trae la sua forma e la sua magia.

Utilizzato come ultima ratio, il Karambit si trasformava in un ottimo strumento da difesa personale, ideale per sferrare colpi mirati su nervi e giunture degli arti, rendendo il nemico inabile a tentare ulteriori attacchi (da qui il nome della tecnica “rompi il dente al serpente” impiegata nelle arti marziali filippine). Anticamente, il tagliente di questo coltello veniva contaminato con del veleno mortale (proveniente da piante o animali), che entrava velocemente in circolo nel sangue a seguito della lacerazione della carne, rendendo mortali anche gli attacchi che provocavano ferite di media entità.

Il coltello, sia originariamente che nelle versioni moderne, è distinguibile per la sua forma caratteristica che consiste in alcune parti fondamentali: la lama curva (che può avere o meno – in base al villaggio d’origine - una sorta di seghettatura non affilata sul dorso) e l’impugnatura, anch’essa curva, terminante con un anello.
Utile nello specifico come arma per la difesa personale nelle corte distanze, il Karambit ha il vantaggio di poter essere facilmente occultato e, per la struttura ed impugnatura del coltello, è più difficile da disarmare.
Sicuramente bisogna prendere in considerazione il fatto che i coltelli da combattimento tradizionali europei, generalmente a doppio filo, sono più efficaci ed in grado di inferire colpi letali (oltre che consentire di mantenere distanze maggiori dall’avversario), cosa che le dimensioni ridotte del Karambit non consentono, a meno che non venga impiegato con tecniche che hanno come target parti vitali più esposte (come ad esempio il collo).

Le versioni moderne di questo coltello, attualmente riconosciuto a livello internazionale come arma del Pencak Silat indonesiano e del Kali filippino, sono più piccole rispetto ai loro antenati, e vengono realizzate anche in coltelli folder.
Oggi il Karambit, ormai in disuso nei luoghi in cui ha avuto origine, è uno strumento utilizzato in occidente soprattutto per allenamento nelle discipline marziali, grazie alla popolarità di alcuni personaggio illustri del settore, come ad esempio Steve Tarani e Ray Dionaldo, che sono riusciti a far conoscere questo strumento a tutto il mondo.

Per avere maggiori informazioni sull’impiego marziale di questa lama ho coinvolto un caro amico, Francesco Cotti, con un curriculum marziale di 15 anni che va dal Kali allo studio dell'uso operativo delle lame, ed ha all'attivo numerosi seminari italiani sull'argomento. Presente sulle maggiori piattaforme internet italiane (forum e social network), Francesco ha contribuito a diffondere la cultura delle Arti Marziali Filippine in Italia dai primi anni 2000. È inoltre autore del primo e più famoso sito amatoriale sull'argomento (www.kali.it).

Francesco dopo avermi delucidato alcuni punti, mi ha spiegato che il Karambit è prepotentemente arrivato sul panorama marziale internazionale solo da pochi anni (una decina di anni, che in rapporto alla storia secolare del coltello sono un’inezia) e che la stragrande maggioranza delle tecniche e dei sistemi basati su questo strumento sono il risultato di studi personali, condotti dal praticante di turno di Arti Marziali del Sud Est Asiatico, senza particolari riguardi nei confronti delle tecniche d’utilizzo originali indonesiane. In certi casi sono stati sviluppati dei concetti d’applicazione veramente interessanti, che vanno ben oltre il mero utilizzo dello strumento come arma da taglio, ma bensì in un contesto di leve articolari e d’immobilizzazione dell’avversario.

Inoltre Francesco ha illustrato l’importanza di considerare il fatto che il Karambit è una lama la cui efficacia è basata su due concetti fondamentali: il rimanere totalmente occultata fino all’ultimo istante per sfruttare l’effetto sorpresa e l’estrema semplicità delle tecniche d’impiego, mirate al solo “sganciamento” dall’avversario. Oggigiorno, purtroppo, questi concetti sono stati completamente travisati in un’ottica “sensazionalistica” dell’utilizzo del Karambit.
Tradizionalmente il Karambit non è mai stato inteso come arma da difesa contro un avversario armato di coltello o di bastone; le tecniche originali erano molto semplici e lineari, per poter rispondere all’esigenza di difendersi istantaneamente da un attacco. Il Karambit era indossato in maniera occulta all’altezza dell’ombelico per poter essere afferrato indifferentemente con la mano destra o con la sinistra, a seconda della situazione.

Le tecniche erano applicate inizialmente alle braccia dell’avversario, per poi passare ai due unici bersagli efficaci per questo tipologia di lama: la gola o la zona pelvica (più precisamente l’arteria femorale). Si trattava al massimo di due o tre tagli ben assestati, prima di allontanarsi dall’avversario. Le traiettorie d’uso, per poter ottimizzare la morfologia della punta della lama, sono delle porzioni di circonferenze, movimenti simili come a sferrare dei pugni circolari. L’efficacia reale del Karambit sta in un uso saggio del footwork (ovvero del posizionamento dinamico dei piedi/gambe) per collocarsi immediatamente in una postura adatta per sferrare l’attacco.
Per concludere, Francesco descrive il Karambit come un “moltiplicatore di forze improvvisato” per affrontare un avversario disarmato, e non come un “main weapon”. Ultimamente c’è quindi la tendenza a dare una collocazione tattica / combat ad una lama che trae invece le sue origini in una sorta di rimedio d’emergenza, e a far credere che abbia una versatilità operativa che in realtà non possiede pienamente.

Tra i Karambit moderni, quello che più si avvicina alle forme tradizionali è quello nato dalla collaborazione di Steve Tarani con la nota marca americana STRIDER.

Il modello HS Strider/Tarani, prodotto nel 2002, ha una lama a doppio filo di 9,5 cm, spessore 4,8 mm, realizzata in acciaio CPM S30V di 59-60 HRC, con finitura tiger stripe.
Il coltello, con realizzazione full tang, è molto robusto e resistente, ed ha un peso di 153 g. L’impugnatura è sufficientemente confortevole sia in presa positiva che tradizionale, grazie alla presenza dei finger grooves non troppo pronunciati.

Il modello riportato in fotografia è il primo della casa Strider, con impugnatura in micarta verde e l’incisione Tarani. Le versioni successive sono state realizzate anche con la lama con finitura nera e con guancette in G-10 nero texturizzato. Al momento dell’uscita del prodotto il prezzo si aggirava intorno ai 350$, oggi è pressoché introvabile.

Il Karambit Strider era stato prodotto in 3 modelli, HS, PS e MB, che variavano per dimensioni. Tutti i coltelli sono forniti con fodero in Kydex con attacco cintura a velcro (nei modelli successivi anche con attacco Tek-Lok). Purtroppo la realizzazione di quest’ultimo è di scarsa qualità; oltre ad essere impresentabile esteticamente (considerando il costo del prodotto, potevano impegnarsi di più), la ede della lama nella sagomatura interna del kydex è mal dimensionata, provocando rigature e segni sulla lama che vanno a rovinare la finitura superficiale. È un peccato vedere come una delle marche americane più rinomate si perda in certi aspetti, di non poco conto.

Complessivamente il Karambit HS della Strider, nonostante il fodero di scarso valore, è un buon prodotto, realizzato con un ottimo acciaio e discretamente finito; probabilmente è ancora oggi uno dei Karambit più belli che siano stati realizzati.

SPECIFICHE

Produttore: Strider
Designer: Steve Tarani
Tipologia: Karambit full tang, doppio filo
Lunghezza complessiva: 21 cm circa
Acciaio: CPM S30V 59/60 HRc , finitura tiger stripe
Lunghezza lama: 9,5 cm
Spessore lama: 4,8 mm
Impugnatura: micarta verde
Peso: 153 g


Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista "Armi & Balistica" n. 18 (Luglio 2013)

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